Oggi, dopo trent’anni di battaglie giuridiche e ambientaliste, lo scheletrone viene abbattuto. All’evento viene dato grande rilievo mediatico dagli eredi di quelle stesse amministrazioni che a suo tempo avevano dato regolare licenza edilizia (l’albergo/“ecomostro” non era infatti un abuso edilizio) e che attualmente non hanno abbandonato, ma solo convertito, rendendola più subdola e strisciante, l’impropria turisticizzazione dell’isola.
Intendiamoci: NON siamo contrari a un uso del territorio che implichi una fruizione turistica davvero sostenibile. Il fatto è che nel pensare e amministrare lo spazio attuale non si può prescindere da quello che è già avvenuto – che le coste liguri sono state in buona misura consumate da un’intensa urbanizzazione industriale, portuale, diportistica e balneare – e che ciò che resta di territorio ligure non completamente stravolto, tanto più se di pregio assoluto come la Palmaria, non può essere reso disponibile neppure per interventi che si presentano in apparenza come di modesto impatto ambientale e paesistico.
Ora, sulla Palmaria incombono interventi non massicci ma sostanziali nel trasfigurarne l’immagine.
Sul tratto di costa antistante Porto Venere è stata approvata una artificiosamente denominata “piazza lineare” che, nel preteso limitato impatto, tradisce sia la storia sia la realtà territoriale attuale dell’isola. La Palmaria, infatti, non ha avuto e non ha un centro, né compatto, né lineare, ma una popolazione residente rada e sparsa, attualmente scarsa e/o fittizia. L’isola conta, in una superficie di 1,6 kmq, 50 abitanti censiti (2001). La cifra è indicativa, poiché alcuni sono in realtà proprietari di abitazioni estive che hanno preso, o mantenuto, la residenza nell’isola per avvalersi di alcuni vantaggi, come l’ormeggio delle barche.
Pensare una “piazza lineare” (= passeggiata lungomare), significa omologare concettualmente e fattualmente la Palmaria ai vari centri della Riviera, sottraendole l’unicità di luogo “altro” in cui spezzini e foresti hanno sempre trovato il senso magico dell’isola che con il suo percorso costiero fatto di tratti di sentiero battuto o accennato fra siepi di macchia spontanea e piccoli giardini, spiaggette sassose, dune spruzzate di sparto, invita a sostare su un sedile improvvisato avvolti nel magnifico paesaggio. Significa ridurre l’isola a passeggiata domenical-turistica uguale o simile a tutte le passeggiate lungomare senza contare, passando dallo “spirito” agli interventi specifici, che il progetto implica:
- l’abbattimento di quelli che la delibera del Comune definisce “superfetazioni” e che sono in realtà annessi ormai storici della più antica villa di San Giovanni (essa stessa modificata rispetto al disegno originario), utilizzati per usi rurali e come rimessaggi;
- il trasferimento di detti volumi (facendo ai proprietari il regalo, forse da loro stessi insperato, del permesso di costruire un edificio del tutto nuovo) in altro luogo della stessa proprietà;
- l’abbattimento del secondo storico muro di recinzione, presente in tutta l’iconografia, che caratterizza il profilo dell’isola nel tratto considetrato;
- l’eliminazione del canneto, emergenza botanica ormai rara nelle nostre coste, testimonianza della combinazione delle peculiarità naturalistiche del sito (la presenza di acqua che sgorgava anche in una polla sottomarina: e difatti quello specifico tratto di costa evoca un paesaggio quasi lacustre) con l’uso che della canna si faceva come sostegno per le viti. Il canneto verrà sostituito da “rampicanti”.
In buona sostanza un altro pezzo originale del paesaggio ligure, tanto più raro in quanto insulare, viene profondamente modificato per far posto a un percorso “cittadino”, postomodernino, ordinatino, ugualino a tanti altri, un progettino pensato da chi di questo territorio dimentica o non conosce l’uso, di questo paesaggio non ha capito, o non capisce più, lo spirito rustico, nel senso di “selvatico” (perché in Palmaria le emergenze naturalistiche sono davvero numerose) e di agricolo.
Ma non è veramente rustica/agricola la sostanza del secondo progetto che a nostro avviso minaccia la Palmaria, priva da un secolo di effetivi contadini: la realizzazione, con finanziamenti europei concessi dalla Regione, di reimpianti viticoli non conformi alle pratiche tradizionali che, sulla base di una produzione vinicola finora quasi inesistente prevedono i permessi di realizzare una ricettività turistica che costituisce il vero affare.
Qualche brano di vigneto per mascherare, dietro l’etichetta intrigante dell’isola, del parco regionale, del patrimonio UNESCO, l’onnipotente cemento.
Italia Nostra La Spezia,
La Spezia, 21.05.09
Pubblichiamo quanto inviatoci da Corrado Cuciniello
RispondiEliminaEsprimiamo riserve e preoccupazione circa l'ipotizzato impiego dei detriti cementizi derivanti dall' abbattimento del cosiddetto scheletrone della Palmaria per una sorta di ripascimento della costa nei pressi di Carlo Alberto.
Riteniamo che prima di ogni decisione definitiva sia doveroso eseguire opportuni test sul calcestruzzo di risulta della demolizione per verificarne la composizione.
E' noto che da diversi decenni nella filiera del cemento trovano spazio quote di ceneri provenienti dall' industria -soprattutto centrali elettriche a carbone- che contengono
metalli pesanti anche in forma molto tossica come il cromo esavalente.
Pertanto onde evitarne la dispersione nel comparto marino e per scongiurare ogni per la catena alimentare, raccomandiamo agli organi di controllo tutte le dovute precauzioni.
ASSOCIAZIONE COMITATI SPEZZINI